27 APRILE – 5 MAGGIO
CELESTA BUFANO
OPENING DOMENICA 27 APRILE ORE 18.00
Per l’ultima mostra del progetto Four Rooms lo spazio dedicato del museo si trasforma nella “Living Room” – installazione site specific, 2008 – di Celesta Bufano (Napoli, 1984), uno spazio personale animato da immagini e colori che provengono direttamente dal mondo e dalla storia dell’artista. La trasposizione fisica di quella che è la scatola magica di Celesta, dove ogni cosa, ogni oggetto, immagine o pensiero si trasforma in una possibilità artistica, un’esperienza che porta con sé le mille suggestioni e testimonianze dei viaggi che hanno portato Celesta Bufano in giro per il mondo. Il viaggio come amplificazione estrema del concetto di movimento, di dinamismo, così come del concetto di conoscenza dell’altro, di ciò che non si può semplicemente spiegare, ma si deve vivere, sulla propria pelle. In questo senso è arte di strada che si trasforma nei tanti segni trovati nei luoghi più diversi, che parlano delle persone più diverse e compongono la visione caleidoscopica della vita, propria dell’artista; un luogo dove stare e dove tornare, un punto fisso nella sua geografia rotolante. Memorie composte come codici da interpretare, come luoghi da scoprire.
Una composizione al ritmo dei canti delle donne africane quella realizzata da Fortuna Del Prete, un modo per provare a entrare nel mondo vorticoso dell’artista e provare a fermarlo per un attimo raccontandoci cosa è riuscita a scorgere leggendo i suoi pensieri che vanno al contrario.
…TRA SOFFOCAMENTI E PRESE D’ARIA… di FORTUNA DEL PRETE
…Mi vidi costretta a sedere sul divano pulito, rammendato con arazzi meravigliosi. Colpirono gli occhi di tutti. E poi la musica era favolosa. Favolosa etnica popolare radicale viscerale povera.
Tutto pieno, una stanza. Una stanza un giardino un paradiso. Il Paradiso dei Pochi. Ma popolare. Entrare in uno spazio e riempirlo tutto, di luci, di colori, di fogli, carte pennelli foto bambole presente passato scrivania computer….ahhhhhh…bello…ma mi soffoca.
Disagio. Troppo pieno. Troppo tutto. Troppo.
Hai un paradiso. Hai la terra. Hai uno sguardo panoramico. Un terzo occhio. E movimenti che danno l’idea di un perenne stato d’eccezione. Foto. Stop. Foto. Stop.
Dietro la casa che ci sarà? Dietro la stanza che ci sarà? Ci sarà un dietro? Si si si. Togliti le scarpe, vai con i piedi nella terra bagnata fertilizzata pesante. Che tiene i piedi legati, il corpo immobilizzato. A pensarci bene, resterei qui, in questo paradiso. Sembra una pazzia, ritagliarsi una stanza, una stanza tutta per sé, fuori dal tempo. Dove il pane lo faccio con le mani e l’odore dei mandarini e dei limoni e del basilico mi inebria. Assuefatta tanto quasi da dover scappare. Magari dietro un albero o sopra un albero, sentire la bellezza di un solo momento e la sua precarietà.
Per poi cadere.
La corda era troppo allentata, il gioco non è andato molto bene. Il rischio è stato troppo. Potevo farmi male. Naaaa. Il terreno è bagnato, pieno d’acqua, la terra mi avrebbe trattenuta mi avrebbe cullato. “Ogni posto è come casa”, in fondo, o forse è una nuova casa. Ti ci vuole sempre un po’ di tempo per abituarti agli odori delle case. Casa, dolce casa. Sento odore di casa, questa maglia sa di casa, mmm…il cibo. Casa. Familiarità. Ricercarla nei gesti degli altri e negli sguardi dell’altro che ti sfiora mentre arriva dalla direzione opposta alla tua, stesso lato, stesso passo, di chi si incontra negli “spostamenti”. Torni a casa. La casa, la tua casa. Dove c’è la stanza. Un falso disordine, una regola da comporre. Confondo e sovrappongo. Mi diverto. A metà tra un album fotografico tridimensionale e immagini immaginate archiviate ma esposte. Sarà questo fumo, o forse una volontà di ricostruire sempre un viaggio mentale e di restituirlo a chi mi viene a trovare in questo angolo di paradiso. Io ti invito sai, ti faccio rotolare tra le mura della stanza e inventare tutto di nuovo, da capo, ti lascio creare il tempo del tuo viaggio, ti porto per mano nelle allucinazioni del viaggio.
Se vuoi, ho un po’ di musica…
Duerme, duerme negrito
Que tu mama estas nel campo, negrito
…trabajando, trabajando duramente
Trabajando si
Trabajando e no le pagan…
Por negrito chiquitito, por negrito si
Apumba chicapumba chicapum
Ogni viaggio è guidato da una melodia primordiale, come lo sfondo della ricerca e della sperimentazione, della creazione più immediata. Scandisce il ritmo delle azioni, dà un senso ai pensieri e alle emozioni. Il cammino esperenziale soggettivo ha una forte attrazione per quello che sta aldilà, ma si nutre, in una forma quasi primitiva, di quello che è stato, che non abbiamo conosciuto a fondo e solo annusato. Il piacere di partire dall’immaginazione, di decostruire formule di vita comune, continuamente stare nel gioco della vita, nel giogo emotivo della vita, sul filo dell’acrobata, sulla terra degli uomini, tra soffocamenti e prese d’aria, tra gli e – e e gli o – o.
Intravedere l’orizzonte e arrivarci.
Ieri sera sono caduta dalla bicicletta. Mi sono sbucciata i gomiti e graffiata il naso, le mani stavano bene, solo un po’ arrossate. La mia casa era lontana. Le gambe non mi reggevano un granché.
Ieri sera sono andata a letto tardi. Ho perso Tempo.
E’ che stavo rotolando nelle forme colorate dei miei occhi chiusi.
ENGLISH VERSION
27 APRIL – 5 MAY
CELESTA BUFANO
OPENING SUNDAY 27th of APRIL 6.00 p.m.
For the last show of the Four Rooms project the dedicated space of the museum is turned into a “Living Room” – the site-specific installation created in 2008 by Celesta Bufano (Naples, 1984), a personal space animated by images and colours belonging to the artist’s world and history.
The physical transposition of Celesta’s magic box, where everything, every object, image or thought is turned into a form of art, an experience that carries with itself the countless fascinations and stories collected by Celesta Bufano during her journeys around the world. The journey is seen as an extreme exaggeration of the concept of movement, dynamism, just like the concept of knowing the other, that which cannot be explained but needs to be experienced in the first person. In this respect hers is street art that turns itself into numerous marks found in different places, that tell of different people and make up the kaleidoscopic vision of life, typical of the artist; a place to stay and to go back to, a permanent point in her rolling geography. Memories that are formed like codes to be interpreted, like places to be discovered.
Fortuna Del Prete’s composition has the rhythm of African women’s songs. She tries to get into the artist’s whirling world and stop it for a moment so as to tell us what she saw reading her thoughts that go backwards.
…AMONG SUFFOCATING OBSTRUCTIONS AND AIR OUTLETS…
by FORTUNA DEL PRETE
…I had no choice but to sit on the clean sofa, darned with wonderful tapestry. It drew everyone’s attention. And the music was fantastic. Fantastic ethnic popular radical visceral poor.
The room was packed. A room a garden a paradise. The Paradise of the Few. But a popular one. Getting into a space and filling it completely, with lights, colours, sheets, papers brushes pictures dolls present past desk computer..... ahhhhhh….it’s so beautiful....but it suffocates me.
Unease. It’s too full. Too much everything. Too much.
You have Paradise. You have Earth. You have a panoramic outlook. A third eye. And movements that make one think of a perpetual state of exception. Picture. Stop. Picture. Stop.
What is there behind the house? What is there behind the room? Is there a behind? Yes yes yes. Take off your shoes, put your feet into the wet fertilized heavy earth. Which binds your feet and immobilizes your body. Come to think of it, I would stay here, in this paradise. It seems foolish, carving out a room, a room of my own, out of time. Where I make bread with my hands and the smell of tangerines and lemons and basil inebriates me. I become so inured that I almost want to run away. Maybe behind a tree or on a tree, feeling the beauty of one single moment and its precariousness.
And then falling down.
The rope was too loose, the game didn’t work well. The risk was too high. I could have got hurt. Naaay. The ground is wet, full of water, the earth would have held me back, cradled me. “Every place is like home”, after all, or maybe it is a new home. It always takes some time to get accustomed to the smells of the houses. Home sweet home. I can smell home, this sweater smells home...mmmhhh...the food. Home. Cosiness. You look for it in other people’s gestures, in the look of the other person coming from the opposite direction and almost touching you, same side, same pace. You go back home. Your home. Where your room is. A mess that is not a real mess, but rather a rule to be created. I scramble and overlay. It’s fun. Halfway between a 3D photo album and imagined imageries, archived yet shown. It’s probably because of this smoke, or maybe it is an attempt to trace a mental journey and to show it to those who come and see me in this corner of paradise. You’re invited, too. I’ll make you roll between the walls of the room and I’ll let you re-invent everything, from scratch, I’ll let you create the time of your journey, I’ll take you by the hand through the hallucinations of the journey.
If you want, I’ll put some music on...
Duerme, duerme negrito
Que tu mama estas nel campo, negrito
…trabajando, trabajando duramente
Trabajando si
Trabajando e no le pagan…
Por negrito chiquitito, por negrito si
Apumba chicapumba chicapum
Every journey is driven by a primordial melody, like the background of research and experimentation, of the most immediate creation. It sets the pace of actions, makes sense of thoughts and emotions. The experiential path of the self longs for what is beyond, but – quite primitively - it feeds on what has already been, on what we couldn’t get to know in deep and of what we just had a glimpse. The pleasure of starting from imagination, of deconstructing common lifestyles, always playing the game of life, through the emotional yoke of life, on the acrobat’s tightrope, on men’s earth, among suffocating obstructions and air outlets.
Catching a glimpse of the horizon and getting there.
Yesterday night I fell from the bicycle. I skinned my elbows and scratched my nose, my hands were fine, just a little reddened. I was far from home. My legs could hardly carry me any longer.
Yesterday I had a late night. I wasted Time.
I was rolling in the colourful shapes of my closed eyes.